Apollo
(gr. Apóllon; lat. Apollo)

Origine ed etimo
Dio greco figlio di Zeus e Latona, fratello gemello di Artemide. Il mito racconta che Era, moglie di Zeus, gelosa di Latona la costrinse a fuggire inseguita dal serpente Pitone e ordinò che nessun luogo sulla terraferma potesse ospitare la dea al momento del parto. Secondo la tradizione più diffusa, Apollo e Artemide nacquero nell’isola di Ortìgia (ma sul luogo esistono non poche discrepanze), che dopo la nascita fu ribattezzata Delo (délos, «splendente»). Un’altra versione del mito vuole che, per volontà di Era, Latona non potesse partorire da nessuna parte sotto il cielo: Zeus allora fece ricoprire l’isola da Poseidone con un soffitto di onde.
Il nome di Apollo per gli antichi era da connettersi etimologicamente al verbo apóllumi («uccido»), a significare ‘Sterminatore’; i moderni preferiscono invece metterlo in rapporto a poliós («candido») o alla radice indoeuropea da cui si forma il lat. oculus. Si tratterebbe cioè di ‘colui che vede’, il Sole (Apollo infatti col passare del tempo fu identificato con il dio del sole, Elio). Ma vi è chi ritiene che significhi ‘Parlatore’, ‘Profeta’, affine ad apélla («assemblea»); oppure ‘Allontanatore dei mali’, dalla variante dorica del nome Apéllon legata alla radice da cui si forma il lat. pello («respingo»); o ancora ‘Possente’ da una radice indoeuropea indicante la «forza».

Culto
Incerto anche il luogo di origine del suo culto: forse nel nord della Grecia dove le sedi del culto di Apollo sono molto numerose; forse in Asia Minore, in Licia in particolare (così si spiegherebbe l’appellativo Lúkios e il fatto che il dio nella guerra di Troia combattè a favore dei Troiani, mentre fu il più ostile ai Greci). Il culto di Apollo fu introdotto probabilmente in Italia in parte dagli Etruschi, in parte attraverso le colonie della Magna Grecia. Per tutta l’età repubblicana fu venerato in un tempio fuori le mura della città, in quanto divinità ‘straniera’, come guaritore e dio profetico; successivamente fu accolto da Augusto in città, a seguito dell’esito felice della battaglia di Azio (31 a.C.), svoltasi non lontano da un tempio del dio e divenne così una delle figure centrali del pantheon romano. In suo onore vennero poi indetti i Ludi saeculares nel 17 a.C.
Due gli emblemi del dio: l’arco e la lira, a sottolineare forse l’ambiguità di Apollo, da un lato dio benevolo delle guarigioni, della musica, della poesia, della bellezza, dall’altro terribile distruttore. Gli animali sotto il cui aspetto viene costantemente raffigurato sono il corvo (uccello della profezia) e il grifone (uccello del sole).

Prerogative ed epiteti
Poco chiare sono anche le sue prerogative originarie, perché ampliò le sue funzioni e competenze nel tempo, attraverso un processo notevole di sincretismo (assimilazione e, per così dire, ‘inglobamento’ nel suo culto di altre figure divine). Dapprima era forse dio dei pastori e delle greggi (da cui l’epiteto Nómios da nomeús, «pastore»), che proteggeva dai lupi (è possibile che Lúkios si connetta a lúkos, «lupo»); ma anche dio delle messi, capace di allontanare i roditori (da qui Smintheús, da smínthos, «topo»), di mandare malattie a punizione delle colpe (Hekatebólos, «che da lungi saetta»), come anche di risanare (Sotér, «salvatore»; Paián, «risanatore»). Era inoltre dio della saggezza e della preveggenza: presiedeva ai contratti, ai giuramenti e aveva santuari oracolari sparsi ovunque nel mondo greco. Il più famoso era quello di Delfi, dove la sacerdotessa Pizia influenzava con i suoi responsi la vita religiosa e spesso politica dell’intera Grecia. Tra gli appellativi invece più direttamente collegati a sue prerogative si annoverano: Iatrómantis («medico indovino»: dal suo amore per Coronide, secondo il mito, nacque Asclepio, dio della medicina); Kitharodós («che suona la cetra»: era dio della musica); Kourotróphos («allevatore di giovani»: sovrintendeva infatti alle palestre e agli agoni da loro frequentati); Loxías («oscuro», per l’enigmaticità dei suoi responsi), Mousegetés («conduttore delle Muse»: favoriva l’ispirazione poetica); Phoîbos («splendente»: era il dio della luce e della bellezza).

Mito
Tra le gesta più famose attribuite ad Apollo vi è l’uccisione del serpente Pitone, che, dotato di facoltà profetiche, custodiva l’oracolo di Delfi e aveva insidiato Latona (proprio a tale impresa si collega l’istituzione delle gare pitiche); la punizione della superbia del satiro Màrsia, che, avendo osato sfidare il dio in una competizione musicale, fu scuoiato vivo; l’uccisione del gigante Tizio, che aveva molestato la madre, e degli Alòadi (così chiamati perché la madre Ifimedìa era moglie di Aloèo) Oto ed Efialte che si erano cimentati nella scalata al cielo; la pestilenza mandata contro i Greci sotto le mura di Troia per vendicare l’insulto al suo sacerdote Crise. Ad Apollo si attribuiscono inoltre molti e per lo più infelici amori: con Coronide (da cui nacque Asclepio); con Cassandra, che ricevette il dono della profezia, ma, poiché non corrispose alla passione del dio, fu condannata a essere inascoltata; con la Sibilla cumana; con Dafne, che per sfuggirgli fu tramutata in alloro (in greco, dáphne). Amò anche i giovinetti Giacinto e Ciparisso, trasformati, dopo la morte, nelle piante del giacinto e del cipresso.

Arte, letteratura e musica
Personificazione – nel Medioevo – della verità e presentato spesso come guaritore, Apollo viene di frequente invocato in qualità di dio delle arti e della poesia, ma compare raramente come protagonista di opere letterarie di ampio respiro, sia nell’antichità, sia nella tradizione letteraria moderna. Tra i principali componimenti a lui dedicati si ricordano l’Inno omerico ad Apollo, uno degli Inni di Callimaco, e più di recente, le poesie di J. Swift, J. Keats, P.B. Shelley, H. Heine, R.M. Rilke. Sul contrasto tra Apollo e Dioniso è imperniata l’opera di F. Nietzsche, La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872).
Nelle arti figurative la presenza di Apollo è cospicua, dal VII secolo a.C. fino ai nostri giorni: le primissime raffigurazioni del dio consistono in statuette bronzee, ma lo si trova anche su crateri in terracotta, vasi e sculture, e, a partire dal periodo ellenistico, su mosaici, dipinti e rilievi. Famosi sono gli affreschi di Raffaello per la stanza della Segnatura in Vaticano (1509-1510), di A. Carracci, del Domenichino, di G.B. Tiepolo, solo per menzionare i nomi di alcuni degli artisti più noti che ne tematizzarono il mito. In àmbito musicale rielaborazioni delle leggendarie vicende compaiono già nella masque inglese, per esempio di T. Campion (1607), B. Jonson (1622), W.B. Yeats (1765), ma non mancano esempi di trasposizioni nell’opera lirica italiana e straniera. Particolarmente fortunato fu il libretto per una pastorale di F. de Lemene, musicato varie volte. Da ricordare inoltre l’intermezzo latino di W.A. Mozart, Apollo e Giacinto (1767), nonché – nei secoli XVIII e XIX – varie cantate e inni. Nel XX secolo si registrano adattamenti di diverso genere tra cui, da ricordare, soprattutto il balletto di I. Stravinskji (1928), il pezzo per pianoforte e archi di B. Britten (1939), quello per archi flauto e batteria di R. Zechlin (1976) e le opere liriche di H. Holewa (1967) e di A. Kovách (1972).


[Elena Esposito]