Platone
(gr. Pláton, lat. Plato)

Notizie biografiche
Platone, considerato il massimo filosofo antico accanto al suo allievo Aristotele, nacque ad Atene, da una famiglia di antica aristocrazia, nel 427 a.C. Suo padre era Aristone, mentre sua madre Perictione proveniva da una delle stirpi più in vista della nobiltà ateniese (ella era cugina di Crizia, l’anima della tirannide che, dopo un sanguinoso golpe, controllò Atene fra il 404 e il 403 a.C., alla fine della guerra peloponnesiaca [431-404 a.C.]). Ebbe almeno due fratelli (Adimanto e Glaucone) e una sorella, da cui nacque il filosofo Speusippo, successore di Platone alla guida dell’Accademia, la scuola da lui fondata nel 387 a.C.

Il più importante documento biografico relativo alla giovinezza e alla maturità di Platone è rappresentato dalla Lettera VII, l’unica che gli studiosi considerino quasi unanimemente autentica, all’interno del piccolo corpus epistolare attribuito al filosofo. Essa testimonia di come il giovane Platone fosse vicino alle posizioni di intransigente oligarchia e di marcato filolaconismo rappresentate dal cugino Crizia, da cui pure si allontanò quando questi cercò di realizzare, con il suo colpo di Stato, il programma aristocratico da lui promosso.

Intorno al 407 a.C. si data l’incontro fondamentale con Socrate, che indirizzò Platone sulla via dell’indagine filosofica perseguita per il resto della sua vita (secondo la tradizione, in gioventù il filosofo si sarebbe dedicato con tutto se stesso alla poesia lirica e drammatica, in séguito aspramente ripudiate). È notoriamente a Platone, più che ad altri, che si deve la conoscenza dello stesso Socrate e dei suoi principi filosofici, benché il più illustre degli allievi socratici non si rappresenti mai (a parte due fugaci menzioni) quale protagonista dei dialoghi dedicati al maestro.

Naturalmente l’uccisione di Socrate ad opera della restaurata democrazia di Atene (399 a.C.) causò il definitivo allontanamento di Platone dalla causa democratica. Dopo la morte del maestro, Platone soggiornò a lungo fuori da Atene: fu a Megara, a Cirene, a Taranto e quindi a Siracusa, dove nel 388 a.C. diede inizio ai suoi rapporti con il tiranno Dioniso I e strinse amicizia con il potente Dione, cognato del signore siracusano. Il progetto di Platone è evidentemente quello di convertire la corte siracusana alla propria causa politico-filosofica, secondo il progetto poi codificato fra l’altro nella Repubblica; ma i rapporti con Dionisio I si fecero ben presto tesi, e già nel 387 a.C. Platone dovette ritornare ad Atene, dove fondò nello stesso anno la scuola filosofica che per secoli sarà attiva nel solco della ricerca iniziata dal suo fondatore: l’Accademia, cosiddetta dal sacello dell’eroe Acadèmo presso cui essa sorgeva.

Il ventennio successivo fu il più fertile per la produzione di Platone, che nel frattempo raccoglieva intorno a sé allievi provenienti da ogni parte della grecità; ma nel 367 a.C. il successore di Dionisio I, Dionisio II, su consiglio di Dione convocò a Siracusa Platone. Ma anche in questo caso la spedizione, animata da ancor più chiari intenti politici, ebbe cattivo esito: Dione fu presto malvisto da Dionisio II e inviato in esilio; lo stesso Platone, rimasto a Siracusa quale ospite (ma probabilmente ‘trattenuto’ dalla stessa corte), ripartì nel 365 a.C.

All’esperienza seguì un terzo viaggio, nel 361 a.C., con il quale Platone raccolse le sollecitazioni dello stesso esule Dione e dei suoi accoliti, che speravano nel filosofo per ottenere un ritiro del bando emanato da Dionisio II. Ma anche questa volta il tentativo si risultò fallimentare: Platone stesso fu trattenuto a Siracusa sino al 360 a.C., e nel 357 a.C. Dione, abbandonate le vie diplomatiche, ribaltò il governo di Dionisio II con un colpo di Stato, ma soltanto per essere a sua volta rovesciato da una congiura di palazzo e ucciso (354 a.C.).

Platone, che nel frattempo non aveva cessato di elaborare sia la sua filosofia, sia la sua teoria politica, morì poco dopo, nel 347 a.C.

Opere
La principale fra le opere di Platone, quella a cui innanzitutto si lega la sua fama di scrittore e di pensatore e che fornì il modello per un ‘genere’ filosofico di durata secolare, è la raccolta dei cosiddetti ‘dialoghi’, riuniti sin dalla tarda antichità in nove gruppi di quattro (‘tetralogie’) secondo opinabili criteri contenutistici: 1) Eutifrone – Apologia di Socrate – Critone – Fedone; 2) Cratilo – Teeteto – Il sofista – Il politico; 3) Parmenide – Filebo – Il simposio – Fedro; 4) Alcibiade I – Alcibiade II – Ipparco – Gli amanti; 5) Teagene – Carmide – Lachete – Liside; 6) Eutidemo – Protagora – Gorgia – Menone; 7) Ippia maggiore – Ippia minore – Ione – Menesseno; 8) Clitofonte – La repubblica – Timeo – Crizia; 9) Minosse – Le leggi – Epinomide – Lettere.

In realtà, così come si presenta, la silloge delle nove tetralogie non risulta né cronologicamente ordinata, né omogeneamente composta da dialoghi, né infine – ciò che più importa – integralmente autentica. In essa sono comprese infatti due opere che non hanno forma dialogica, l’Apologia di Socrate e le sette Lettere, e diversi testi di improbabile o impossibile paternità platonica, quali quelli radunati nella quarta tetralogia (Alcibiade I e II, Ipparco, Gli amanti) e poi il Teagene, l’Ippia maggiore, il Minosse, l’Epinomide (quest’ultimo attribuibile forse al filosofo platonico Filippo di Opunte), nonché buona parte delle stesse Lettere (gli studiosi hanno a lungo discusso, con esiti assai variabili, sul numero delle lettere da giudicarsi genuine: ma un certo consenso, pur non senza eccezioni, può dirsi stabilito soltanto per la probabile autenticità della lettera settima e per la possibile autenticità della lettera sesta). Alle opere citate vanno ancora aggiunti il trattato cosiddetto delle Definizioni, certamente spurio, un gruppuscolo di venticinque epigrammi attribuiti a Platone nella grande raccolta epigrammatica bizantina dell’Antologia Palatina, nonché tre sparuti frammenti tragici che i testimoni indiretti ascrivono, non si sa con quanta verosimiglianza, al filosofo.

Cronologia delle opere ed evoluzione del pensiero
Presso i moderni è invalso l’uso di organizzare i dialoghi secondo una tripartizione su base sommariamente cronologica, che riproduca le tre grandi fasi della vita e della produzione platonica; tale uso, perfezionato attraverso lunghe ricerche fondate sulla stilometria (valutazione dei tratti stilistici e della loro probabile evoluzione) e sulla progressiva maturazione del sistema filosofico di Platone, risulta di capitale importanza non solo per fini meramente bibliografici, ma anche e soprattutto per lo studio storico di un pensiero che conobbe diversi e spesso radicali mutamenti, e che proprio per questo si lascia difficilmente organizzare in un sistema compiuto.

Si deve infatti tener conto che la filosofia platonica, per testimonianza degli antichi e per molti indizi ricavabili da Platone stesso (ma soprattutto dal Platone delle discusse Lettere), aveva il suo momento centrale nella didattica praticata presso l’Accademia: al punto che in alcuni settori della ricerca contemporanea la ricostruzione delle ‘dottrine non scritte’ è divenuta il principale oggetto di indagine, con la tacita o esplicita assunzione che le opere scritte non rappresentino che il momento ‘essoterico’ (cfr. Aristotele), pubblico e per così dire propagandistico della dottrina platonica, di valore infinitamente secondario rispetto ai principi della filosofia ‘esoterica’, limitata al dialogo vivo e alla frequentazione quotidiana fra il maestro e i discepoli.

In ogni caso, la produzione platonica risulta tripartita, secondo l’ipotesi largamente maggioritaria, nelle grandi fasi della giovinezza, della maturità e della vecchiaia, corrispondenti grosso modo ai periodi 397-387 a.C., 387-367 a.C., 367-347 a.C., scanditi dalle esperienze siciliane e ovviamente da concepirsi come archi cronologici puramente indicativi.


Gli scritti socratici
La fase giovanile riguarda gli scritti cosiddetti ‘socratici’, composti poco dopo la morte di Socrate e ritenuti più vicini al pensiero del maestro; essi comprendono il Lachete, il Carmide, l’Eutifrone, il Liside, il Protagora, l’Ippia minore, lo Ione, l’Ippia maggiore (se autentico), oltre che, naturalmente, l’Apologia e il Critone, dedicati più da vicino al processo e alla prigionia di Socrate (discussa è invece l’appartenenza a questa fase del Gorgia); molti studiosi considerano anzi l’Apologia (il discorso di autodifesa, immaginario o solo parzialmente realistico, pronunciato da Socrate dinanzi alla giuria riunita per processarlo in seguito alle accuse di empietà) il primo degli scritti platonici, benché non manchi chi vuole spostarne la composizione a ridosso della seconda fase, mentre il Critone si è visto talora postdatato sino all’ultima fase del pensiero platonico. I temi caratteristici degli scritti ‘socratici’ sono di carattere eminentemente etico: la ricerca della virtù, della sapienza, del bene, in una progressiva definizione della gerarchia assiologica (relativa ai ‘valori’ etici) affrontata da Socrate in dialogo con alcuni rappresentanti della cultura sofistica o con alcuni sostenitori del senso comune e dell’etica tradizionale greca. La tecnica dialogica impiegata da Socrate risulta improntata ai principi celeberrimi dell’ironia (la messinscena di un’ignoranza che mira a spiazzare l’interlocutore e a mostrare, in una raffica di interrogazioni apparentemente ingenue, l’intrinseca contraddittorietà del senso comune) e della maieutica (la pars construens del procedimento socratico, che intende far ‘partorire’ la verità allo stesso interlocutore – mâia in greco è la levatrice – tramite opportune domande che indirizzano discretamente la conversazione).

Appartiene allo stile dei dialoghi ‘socratici’ la conclusione spesso ‘aporetica’, cioè del tutto aperta e puramente negativa: non sempre la verità di una definizione oggettiva emerge dal confronto con gli occasionali interlocutori, ma certo il dialogo è in grado di porre il problema di una conoscenza universale e razionalmente fondata (almeno come orizzonte di ricerca) e di denunciare la vacuità e l’irrazionalità dei valori dominanti. È quindi sul campo delle indagini etiche che prende corpo – con una probabile emancipazione dal pensiero originario di Socrate – quella ‘teoria delle idee’ che si affaccia già con l’Eutifrone e che sarà il fondamento degli scritti successivi.

Gli scritti della maturità
La fase della maturità è compresa cronologicamente fra il primo e il secondo viaggio in Sicilia, cioè fra il 388 e il 367 a.C. Si tratta per buona parte di scritti già ‘accademici’, cioè concepiti dopo la fondazione della scuola platonica nel 387 a.C., anche se opere ‘di confine’ fra la prima e la seconda fase possono essere considerati il già citato Eutifrone e il Menone, che abbozzano la ‘teoria delle idee’ e segnano già il distacco dagli scritti ‘socratici’. Nel gruppo rientrano quindi il Cratilo, l’Eutidemo, il Menesseno, il Simposio, il Fedone, la Repubblica (in 10 libri, di cui il primo appartenente forse alla fase giovanile), il Fedro, il Parmenide e il Teeteto. Si tratta dunque di alcuni fra i più celebri scritti platonici: dal Cratilo dedicato al linguaggio (e a un concetto destinato a lunghissima fortuna, quello di ‘arbitrarietà del segno’) al Simposio dedicato all’amore e alla sua definizione filosofica, dalla Repubblica che elabora una imponente utopia socio-politica e progetta una riforma radicale dell’organizzazione civile e dell’educazione tradizionale, sino al Fedone (il grande dialogo sull’immortalità dell’anima), al Fedro (dedicato ancora alla bellezza e all’amore, ma anche significativo rispetto al contrasto fra oralità e scrittura), al Parmenide e al Teeteto, dedicati rispettivamente alla teoria delle idee e alla definizione della ‘scienza’, e che per il loro carattere in parte autocritico, nonché per la grandissima rilevanza teoretica delle argomentazioni in essi svolte, sono considerati opere a cavallo fra la seconda e la terza fase del pensiero platonico, se non addirittura opere della vecchiaia.

Il distacco dal socratismo è ormai definitivamente compiuto, e la ricerca di valori universalmente validi diviene ricerca di concetti o modelli eterni, sovrasensibili, attingibili soltanto per via razionale e dialettica, in una prospettiva che abbandona il terreno dell’etica e si pone decisamente su quello della metafisica, coinvolgendo ogni aspetto della gnoseologia e dell’epistemologia: si tratta delle cosiddette ‘idee’, realtà ultrasensibili che fondano le stesse realtà sensibili e che costituiscono di esse il modello stabile e unitario (di contro alla molteplicità e alla variabilità dell’esperienza sensibile), e sulla cui autentica definizione nel quadro del pensiero di Platone (accusato spesso di ‘realismo’, cioè di fede nella realtà obiettiva dei concetti, che non sarebbero mere astrazioni ovvero operazioni logiche o mentali, bensì veri e propri enti, dotati di esistenza e anzi della sola, genuina esistenza, che viene negata alle realtà concrete e sensibili) si è giocata, nel corso dei secoli, tutta la valutazione del platonismo. In particolare, già Aristotele – il più illustre degli allievi dell’Accademia – fondò il proprio sistema contro il preteso realismo delle idee platoniche e contro il concetto assai arduo di ‘partecipazione’ (il rapporto che lega le idee alle loro ‘copie’ sensibili). Ma è su tali nozioni che Platone articola tutto il suo pensiero, compresi i numerosi legami, da una parte, con il sistema di Parmenide, e dall’altra con le dottrine orfiche e pitagoriche sull’immortalità dell’anima, della metempsicosi, della reminiscenza: l’anima immortale detta il destino dell’uomo che voglia elevarsi dal mondo sensibile al mondo delle idee, in un procedimento di ascesa che dal molteplice conduce sino alle pure ‘realtà in sé’ e alla stessa ‘idea del bene’ o ‘dell’Uno’, la principale delle idee platoniche (in séguito identificata con Dio). La facoltà che consente la contemplazione filosofica delle realtà in sé è il noûs, l’intuizione ideale, che supera così il procedimento discorsivo e dialettico che domina ogni scienza umana e che pure costituisce un metodo essenziale e propedeutico alla filosofia ultima; il distacco dal corpo, la morte come liberazione dai vincoli sensibili, il ruolo dell’eros come sprone alla ricerca e alla contemplazione (il celebre ‘amore platonico’), il progetto di una società fondata su una riproposizione, a livello di macrosistema, del microsistema psichico, con l’utopica supremazia di un ceto dirigente composto da soli filosofi e con la teorizzazione di un comunismo che dissolva gli idoli della proprietà e della famiglia, sono tutte conseguenze dirette o indirette della dottrina delle idee.

Gli scritti della vecchiaia
La fase della vecchiaia comprende il gruppo dei dialoghi ‘tardi’, cioè composti fra il secondo e il terzo viaggio siciliano (cioè fra il 367 e il 361 a.C.) e dopo il definitivo ritorno ad Atene (360 a.C.) sino alla morte (347 a.C.). Con il Parmenide e con il Teeteto, Platone si costringe a una revisione critica della teoria delle idee, cercando di attenuarne il carattere di estraneità al mondo sensibile, ma senza rinunciare ai principi di un’epistemologia che non può fondarsi sulla conoscenza empirica e sui sensi. Nel nuovo spazio concesso, in questa prospettiva, al ruolo della dialettica, concepita come un processo di differenziazione concettuale che regola il passaggio dal mondo delle realtà ultrasensibili a quello della molteplicità terrena, gli studiosi riconoscono una sorta di ‘ridiscesa’ dall’iperuranio (la sfera ‘mitica’ in cui si situano le idee) al mondo: è un processo che si compie con il Sofista, con il Politico e con il Filebo, che propongono una revisione della teoria platonica anche dal punto di vista della filosofia pratica, ora intonata a una concezione meno intransigente del rapporto con la realtà corporea e con il mondo sia della natura, sia della società. Su questi ultimi aspetti si pronunciano rispettivamente il Timeo (che intende recuperare numerosi risultati della ricerca scientifica e naturalistica propria della filosofia ionica, e che con il mito del ‘demiurgo’ - il quale riproduce le idee, dando così ‘forma’ alla materia informe e creando la realtà sensibile - influenzerà considerevolmente le evoluzioni del platonismo) e con le Leggi (che abbandonano il terreno dell’utopia e l’affascinante, ma per alcuni decisamente totalitario, progetto di ristrutturazione sociale teorizzato nella Repubblica, per elaborare un modello comunitario più ancorato alla realtà politica e giuridica delle città antiche, in una sorta di ideale equilibrio fra istituti monarchici, aristocratici e democratici).

Appartiene all’ultimo periodo – se autentica – anche la già citata Lettera VII, con un testamento che è al contempo politico e filosofico, e che se da una parte mette a nudo gli originari intenti socio-politici che hanno ispirato il pensiero platonico, dall’altra contiene l’enigmatico pronunciamento secondo cui il vero fine ultimo della filosofia elaborata da Platone è destinato a rimanere escluso dalla comunicazione scritta.

Proprio per questo i dialoghi – capolavori di prosa attica, oltre che straordinario esempio di mimesi drammatica e fucina di neologismi filosofici – appaiono tutt’oggi opere contrassegnate da una indecifrabile e sfuggente ironia, che li sottrae, secondo un principio che fu sempre caro a Platone come a Socrate, ad ogni tentativo di chiusura in un sistema dottrinario compiuto.

[Federico Condello]