Epicuro

Vita Nato a Samo da genitori ateniesi nel 341 a.C., Epicuro, dopo aver svolto il servizio militare ad Atene, trascorse un lungo periodo di formazione filosofica e insegnamento a Colofone, Mitilene e Lampsaco. Nel 306 lo ritroviamo ad Atene, dove fondò una scuola filosofica che, per il giardino che le era adiacente, venne indicata comunemente come "il Giardino". Qui Epicuro insegnò la sua filosofia ai suoi allievi, uomini liberi, ma anche donne e schiavi, che lo circondarono d'affetto fino alla fine dei suoi giorni, avvenuta nel 270.

Opera Delle numerosissime opere di Epicuro ci restano intere tre lettere di carattere dottrinale (A Meneceo; A Erodoto; A Pitocle), e numerosi frammenti di varia origine.

Caratteristiche generali dell'opera La produzione di Epicuro è funzionale al suo insegnamento. Fermo restando che non è qui possibile proporre una sintesi del pensiero filosofico epicureo, ci limiteremo a ricordare che Epicuro fu seguace della fisica atomistica, utilizzata in funzione del conseguimento di quella felicità da lui perseguita e additata come meta della sua ricerca. Per Epicuro l'uomo deve perseguire non il piacere volgare, ma quello volto a procurare la liberazione dai mali e la tranquillità, da lui indicata con il nome di atarassìa. Tutto questo è possibile superando la paura del dolore (mai così grande da non poter essere tollerato); quella della morte (che è semplice disgregazione degli atomi eternamente destinati a dividersi per poi ricombinarsi in nuove forme di vita); quella degli déi (i quali, formati da atomi perfetti, vivono negli intermundia, senza curarsi dell'umanità).

Lingua e stile La lingua di Epicuro è quella della koiné. Lo stile, sintatticamente poco sviluppato, è reso particolarmente contorto e complesso dalla massiccia presenza di termini tecnici, spesso ottenuti attraverso la sostantivizzazione del participio. Frequenti gli anacoluti. A dispetto di questo stile tutt'altro che gradevole, colpisce la capacità di Epicuro di riassumere icasticamente concetti profondi in pochissime parole. Va detto, in ogni caso, che noi possediamo poco della produzione epicurea e che se potessimo leggere le opere destinate al grande pubblico dovremmo, probabilmente, correggere in parte il giudizio appena dato.

Vedi versioni 527-528, alle pp. 470-471 di Saphéneia.

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