SARDEGNA
SANT'ANTIOCO (CAGLIARI)


 

Che cosa vediamo oggi?

A spasso tra rovine archeologiche e splendidi musei
Cominciamo la nostra visita dal nuovissimo museo, inaugurato nella primavera del 2005 a Sant’Antioco.
Particolarmente importanti sono i materiali di epoca fenicia, soprattutto ceramiche dalla caratteristica superficie color rosso-arancio.
Ricca di testimonianze è la fase punica, grazie ai numerosi corredi funerari rinvenuti nella necropoli ipogea (cioè scavata nel suolo roccioso), costituiti da vasi di ceramica di diverse forme, tra cui alcuni importati dalla Grecia, lucerne (le antiche lampade), caratteristiche maschere mostruose di terracotta, amuleti, gioielli d’oro e d’argento, collane con perle e pendenti, vasetti per oli profumati in vetro dai vari colori e piccoli sigilli a forma di scarabeo egizio.

Un settore è riservato al tofet fenicio-punico, con urne e stele. Le stele, cioè lastre di pietra lavorate a rilievo, sono una delle classi di materiali più tipica di Sulci. Sulla faccia principale sono scolpite immagini di divinità, uomini e donne che recano offerte, simboli religiosi o animali sacrificali, da cui si ricavano preziose informazioni sulla religione.

Tra i reperti rinvenuti più recentemente, si segnalano due statue gemelle in pietra raffiguranti leoni accosciati, che probabilmente “facevano la guardia” ai lati della porta settentrionale di ingresso alla città.

All’esterno del museo le aree archeologiche attualmente visitabili sono il tofet, la necropoli punica e le catacombe sottostanti la chiesa di Sant’Antioco.

Il tofet sorge alla periferia nord dell’antico abitato, risale all’epoca della fondazione della colonia fenicia (VIII secolo a.C.) ed è stato utilizzato fino al I secolo a.C., cioè fino alla nascita dell’impero romano.
Ai piedi della roccia sono state rinvenute negli anni oltre 3000 urne di terracotta a forma di vaso: contenevano ossa bruciate di bambini o di piccoli animali come agnelli e volatili, e talvolta alcuni oggetti votivi. Erano deposte nelle cavità naturali della roccia coperte da un piattino.
A partire dall’età punica (550 circa a.C.) le urne erano accompagnate da stele che costituivano l’omaggio (il voto) dei fedeli (circa 1700 sono state recuperate e portate nei musei di Sant’Antioco e Cagliari).
La maggior parte delle urne è stata sostituita con copie (gli originali sono al museo).

La necropoli punica di Sulci è la più vasta, complessa e ricca della Sardegna.
Solo alcune tombe sono visitabili (circa 40 tra via Castello, via Carducci e via Virgilio) e nel loro insieme costituiscono il “villaggio ipogeo”, poiché sono tutte scavate nel tufo (una roccia facile da lavorare).
Ognuna si compone di due parti: un corridoio di accesso in discesa con gradini, che termina in un pianerottolo (il dromos), dove era deposto il defunto. Il dromos e la camera sono collegati da un’apertura molto stretta, sufficiente a far passare il corpo del defunto steso sul letto funebre, mentre il sarcofago di legno, se c’era, veniva introdotto smontato. Tutte le tombe risalgono al VI-III secolo a.C., cioè alla fase punica, durante la quale si usò sempre il rito dell’inumazione.
Nelle camere sepolcrali inizialmente veniva seppellito un solo corpo; alcune tombe, però, sono state riutilizzate per molto tempo, anche tre secoli, e al momento della scoperta contenevano fino a 50 corpi!

 

L’ultimo settore visitabile della necropoli si trova sotto alla basilica di Sant’Antioco, con accesso dalla chiesa; qui le tombe puniche si differenziano per il fatto di avere la camera sepolcrale unica e sono state riutilizzate in epoca paleocristiana come catacombe.